VEDERE con gli occhi dell’anima
Vivere con le immagini della luce perduta
Nikolaus Fischnaller
Testo sulla copertina
Nikolaus Fischnaller, che perdette progressivamente la vista gia nell’adolescenza, racconta in modo vivo ed effi cace l’interessante storia della sua vita, descrivendo la situazione e le usanze del suo paese montano in tempi ormai passati, in cui le condizioni materiali e la mentalita erano diverse da quelle attuali.
Stupiti e quasi increduli, apprendiamo come una famiglia numerosa e disagiata, colpita dalla tragedia di quattro fi gli diventati ciechi, viveva dignitosamente e serenamente, sostenuta dalla fede e dall’ingegnosita dei genitori.
L’autore espone in questa pubblicazione i gravi disagi procuratigli dalla sua menomazione e come lentamente riusci a superare i suoi complessi, ad accettare la vita da disabile, ad acquistare sicurezza ed indipendenza.
Le sue esperienze servono a quanti si trovano svantaggiati in varie forme; costoro possono ricavarne suggerimenti e spunti per superare gli ostacoli anche con le proprie forze. Il libro puo dare informazioni utili a coloro che devono confrontarsi con persone disabili, e lancia un messaggio che invita alla fi ducia ed alla solidarieta. Nella narrazione sono inseriti anche episodi curiosi che vivacizzano il testo; vecchie fotografi e completano il volume, che coinvolge e che si legge con interesse e con profitto.
Dott. Ernst Parschalk, storico
Vedere o guardare un prato fiorito.
Vedere e guardare sono due cose diverse.
Quando vedo, percepisco con gli occhi;
quando guardo, osservo e considero con interesse.
Vedendo registro forme e colori;
guardando ravviso molto di piu.
Se vedo soltanto, so che cos’e;
se guardo, esamino a fondo.
Cio che vedo e presente al momento;
cio che guardo mi resta impresso.
Se mi limito a vedere, dimentico presto;
quello che ho guardato mi resta nel cuore.
Con quello che vedo non ho rapporto;
con quello che guardo ho un legame.
Quanto vedo mi da un’immagine;
quanto guardo mi coinvolge.
Cio che ho solo visto non mi tocca;
cio che ho guardato mi rende grato.
Quello che vedo, posso disegnarlo;
con quello che guardo posso immedesimarmi.
Le cose che vedo sono comuni;
le cose che guardo sono uniche.
Vedere porta informazioni;
guardare da immagini che mi sostengono.
Sono contento di aver visto tante cose,
ma grato per quelle che ho anche guardato,
perche ne ho ricordi incancellabili.
E sono riconoscente del fatto che, pur non vedendo,
sono ancora capace di guardare
Introduzione
Ho perduto la luce degli occhi gia nella prima gioventu; ma mi sono rimaste impresse vive ed intatte fino al presente le immagini captate nella mia infanzia. Percio grazie a Dio riesco anco- ra a immaginarmi in qualche modo forme e colori, anche per merito di opportuni esercizi. Cio e possibile, perche ho avuto la grande fortuna di vedere quand’ero piccolo.
Quanto piu maturava in me il proposito di mettere per iscritto le vicende dei miei primi anni e della mia vita, tanto piu mi rendevo conto di quanto e stata bella e preziosa la mia infanzia in famiglia.
Quando eravamo presenti tutti, la famiglia era composta dalla nonna, dai genitori e da dieci fi- gli (altri due figli erano morti nella prima infanzia). Naturalmente la differenza di eta delle sorel- le e dei fratelli era notevole e quindi raramente ci trovavamo insieme al completo; ma in tutti noi il calore del nido accogliente ed il senso di sicurezza che ci trasmetteva la casa paterna ha lasciato un’impronta indelebile, di valore incalcolabile.
Nonostante le ristrettezze materiali in famiglia regnavano pace, serenita, aiuto reciproco, fidu- cia in Dio. La casa era un angolo di sole che dava protezione; le mie radici mi hanno dato un punto d’appoggio fino al presente e caratterizzato tutta la mia vita. Vivevamo in condizioni umili e quasi di indigenza; ma quando si impara ad essere riconoscenti per piccole cose, si apprezza maggiormente il dono di quelle grandi. A volte si diventa piu forti se non si ha tutto senza esserselo guadagnato. La felicita non consiste solo nella ricchezza di beni materiali e nel sentirsi al sicuro; gia Arthur Schnitzler scrisse: "Felicita e tutto cio che elettrizza ed estasia i sensi.”
Nei miei primi anni di vita ci vedevo dunque ancora bene o almeno relativamente bene. Ma presto la luce abbagliante del sole comincio a darmi problemi; percio tenevo spesso gli occhi chiusi e mi sentivo ripetere di tenerli aperti. A cinque o sei anni mi trovavo dal nostro vicino con mio zio Ferdl e lo osservavo con interesse mentre costruiva una casupola di legno. Salito su una scala, lo zio mi chiese di passargli un paio di chiodi posati su un’asse praticamente da- vanti ai miei occhi. Ma io non li vedevo, e li cercai tastando con le mie manine sul ripiano. Lo zio, che conosceva poco me e le mie difficolta, si accorse subito del mio strano comportamen- to, e mi chiese perche tastassi per trovare oggetti che lui vedeva benissimo da distanza mag¬giore. Ne parlo con i miei genitori ed essi ammisero quello che avevano gia notato da tempo, ma forse si rifiutavano ancora di ammettere: "Il bambino ci vede troppo poco”.
Estratti
Dal capitolo “Alla scuola elementare”
Oggi si parla molto di integrazione, espressione che non mi piace. Non si puo integrare nessu- no; si possono solo creare i presupposti che consentono all’individuo disabile di integrarsi da se. Bisogna consigliare ed insegnare l’apprendimento di tecniche adeguate; bisogna mettere a disposizione gli ausili necessari e favorire tutto cio che rafforza l’autostima.
In una conferenza tenuta alcuni anni fa qui nel Centro Ciechi St. Raphael di Bolzano, la si-gnora Tanne di Norimberga disse fra l’altro: "In una scuola normale un bambino cieco esperi- menta ogni giorno cosa non sa fare e cosa sanno fare gli altri; invece in una scuola speciale per non vedenti egli nota ogni giorno quante cose puo imparare.” Ormai si sono fatti molti pro- gressi nel campo di una vera integrazione; ma per me la scuola e stata proprio come diceva quella signora. Venivo continuamente confrontato con la cruda realta; dovevo constatare che ero diverso, che non potevo partecipare a molti lavori e giochi, che c’erano cose per me irrag- giungibili, che gli altri ridevano prendendomi in giro.
Ma procediamo per ordine. ...
Dal capitolo “Iniziative, strutture e il mio impegno”
La solidarieta fra noi colpiti dal destino e sempre di particolare importanza. Grazie al sostegno di tante brave persone sono stato in grado di prendere in mano la mia sorte, e di condurre una vita piena nonostante la mia menomazione. Per spirito di solidarieta noi ci prodighiamo nei no- stri gruppi di aiuto vicendevole e nelle nostre organizzazioni, collaborando a progetti di autoa- iuto nei paesi in via di sviluppo. Sempre spinti dalla solidarieta vorremmo dire qualcosa ai ve- denti, ed in singoli casi essere per loro persino portatori di speranza.
Dal capitolo “Viaggiare è bello”
Quasi ogni anno formiamo un gruppo di non vedenti che parte per un bel viaggio organizzato. La guida turistica ci dice spesso che appena spiegando a noi i monumenti ha imparato a guar- darli e ad esaminarli accuratamente.
Coloro che non hanno contatti con i ciechi ci domandano: "Ma perche mai fate un viaggio, se tanto non potete vedere niente?” Ma essi non sanno che si possono ottenere dall’ambiente moltissime informazioni con gli altri sensi, e credono che noi siamo maldestri ed impacciati come lo sono loro, con gli occhi chiusi.
Farci provare svariate sensazioni e compito di una sapiente organizzazione, che sceglie per noi mete in cui si possono sentire, toccare, fiutare, percepire cose nuove ed ambienti diversi. Quanto profitto il singolo trae dal viaggio dipende anche dalla intensita della sua immaginazio- ne, da quanto si e allenato ad interpretare con l’udito, il tatto, il gusto, la pelle i messaggi della localita; parecchio dipende anche dall’accompagnatore e da quanto si adopera per descrivere le forme ed i colori.
Per esempio visitando le cattedrali tastiamo le colonne, gli ornamenti, le statue ed altri partico- lari, ci rendiamo conto di come sono le pareti ed il pavimento; con l’eco valutiamo l’ampiezza dell’interno, con la pelle percepiamo la temperatura e l’umidita e cosi via, facendoci un quadro abbastanza adeguato dell’edificio. Se qualche volta in tal modo feci scattare l’allarme, non mi parve una cosa tragica, cosi si constato che l’impianto funzionava.
A Dresda andammo all’opera a sentire il Flauto Magico di Mozart; ai lati della grande entrata ci sono ad altezza d’uomo i busti di uomini famosi. Quei personaggi ci diedero l’occasione ideale per tastare tutte le particolarita dei loro volti scolpiti, lasciandosi toccare persino gli occhi sen- za battere ciglio! Ho ancora il ricordo delle molte rughe sul viso di Grillparzer e della pelle tutta liscia di Kafka; cosi per me l’opera di Dresda resta legata a quelle fisionomie palpeggiate.
In Spagna a Santiago de Compostela risalii nel santuario i gradini che portano alla statua di san Giacomo, per mettergli la mano sulla spalla. A Roma giunsi in cima alla cupola di San Pie¬tro sperimentando prima la curvatura della volta e poi la scala a chiocciola. A Pisa mi avventu- rai sulla torre pendente, su cui un cieco si orienta bene in base al pavimento inclinato. In Pale- stina ascesi il monte delle beatitudini portando a spalle Gabriella, una ragazza paralizzata.
In Grecia visitai le tombe dei re di Micene e feci pure una corsa nello stadio di Olimpia. Ad Epi- dauro nel teatro all’aperto constatai di persona che anche dall’ultima gradinata in alto si sente ancora davvero il fruscio della carta stropicciata sulla scena. Della Danimarca mi ricordo la tenda in cui dormimmo in riva al mare, e di Everness nella Scozia il rauco grido dei molti gab- biani. In Normandia volli fare un bagno nell’Atlantico e sento ancora l’acqua gelida; a Gibilter- ra, ove demmo da mangiare alle scimmiette, il forte vento quasi ci portava via.
A Mosca facemmo il giro della enorme campana mai issata nel Cremlino perche ha delle cre-pe; in un museo etnografico ci rendemmo conto di com’erano fatte le vecchie case dei conta- dini. In ogni paese gustammo le specialita locali, bevendo vodka in Russia ed in Polonia, ouzo in Grecia, birra in Germania, vino in Italia e cosi via. Formiamo un gruppo affiatato di non ve¬denti ed ipovedenti che viaggia volentieri, e ritorniamo arricchiti da svariate impressioni e sen¬sazioni e dallo scambio dei colloqui in compagnia.
Dall’ultimo capitolo
Non so in quale momento la mia menomazione mi abbia procurato i problemi piu gravi. Da bambino la mia vista limitata non mi aveva creato gravi disagi; nell’adolescenza pero le conseguenze mi misero a dura prova. Mentre ci vedevo sempre meno, mi ritiravo nel mio mondo, credendo di poter cosi ingannare me stesso e gli altri. Fui costretto ad imparare nuovi espedienti, per sopravvivere nonostante la mia progressiva cecita. Lo sviluppo della mia identita si adeguo praticamente alla menomazione.
In seguito gli effetti della perdita della vista si fecero sentire dolorosamente; dovetti adattarmi alla vita da cieco, imparando l’uso di nuove tecniche di comunicazione e di mobilita. Col tempo riuscii a tenere meglio sotto controllo le conseguenze, a superare lentamente i miei complessi e ad acquistare una certa sicurezza. Infine mi decisi ad accettare quello che comunque non potevo cambiare, e ad utilizzare quanto mi era rimasto, per condurre un’esistenza degna di essere vissuta. Ho fatto della necessita una virtu.
Si trattava di ricorrere a tutte le possibilita rimastemi, ancora tante, e di sfruttarle nel migliore dei modi. Se nella vita ci poniamo degli obiettivi e cerchiamo di fare cio che e sensato e ci da gioia, allora possiamo sentirci bene anche come persone disabili ed avere un’esistenza autonoma e piena.
Anche una volta accettata la disabilita, non e che tutto sia risolto per sempre. Trovarsi limitati in svariate circostanze, dipendere da altri nei momenti meno opportuni puo diventare un grave peso; tali barriere e complicazioni si presentano sempre di nuovo. Bisogna accettare la situazione giorno per giorno e trasformare questo atteggiamento in stile di vita.
Possiamo persino considerare la menomazione come una vocazione o missione; in tutto si riesce a trovare un senso ed un compito.
Finche ci meravigliamo
con gioia di qualcosa,
finche la bellezza ed il profumo
di un fiore ci commuovono,
finche ci lasciamo coinvolgere da cose nuove
e sorridiamo delle nostre debolezze e sciocchezze,
finche ci interessiamo al nostro prossimo,
mantenendo e curando rapporti con gli altri,
finche riusciamo a far apparire
un sorriso su un volto triste
ed a risvegliare una scintilla di speranza
in un cuore affranto,
la nostra vita e bella
e degna di essere vissuta.